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Drag Queen Olimpia Balti con abito verde e scarpe con tacco rosa

Photography by © Clotilde Clodoveo Petrosino all rights reserved

Ti va di raccontarci com'è nata Olimpia Balti? Qual è stato il momento in cui hai capito che il drag poteva essere il tuo spazio espressivo?

Estate 2021. Dopo un anno difficile per la nightlife milanese, segnata dalle restrizioni Covid, iniziano a riaprire i primi locali. Da lì cominciano le mie prime sperimentazioni in drag, fino a quando, poco dopo, il direttore creativo di una serata mi chiede di unirmi al loro staff e trovare un nome. Era la notte prima degli esami di maturità, avevo 19 anni. Nasce così Olimpia Balti. "Sogno di una notte di mezza estate", mi verrebbe da dire. In un certo senso, è come se Olimpia fosse sempre stata dentro di me; dovevo solo trovare il modo giusto per incanalare quella visione artistica nel modo più autentico possibile. Ancora oggi ho diversi spazi espressivi, ma sento che il drag rimane quello più sincero. Non ho scelto di fare drag: l’ho semplicemente lasciato accadere. È stato qualcosa di molto naturale.

Avevi già un legame con il mondo dell’arte o della performance prima di scoprire il drag? Oppure è stata l'arte drag a fare da apripista?

Ho fatto diversi anni di teatro, ma non li ho mai collegati direttamente al mio concetto di drag né li ho vissuti come una tappa precedente. Ho iniziato presto a fare drag, e la considero la mia vera apripista: mi ha dato una confidence che nessun’altra esperienza mi aveva trasmesso.
Riconosco di essere sempre stata una persona creativa, affamata di nuovi stimoli e modi per esprimermi.

Com’era avere 19 anni e iniziare questo percorso a Lecco? Hai trovato supporto o ci sono stati ostacoli?

Nel mio caso, ho trovato supporto circondandomi di amicizie sincere e persone che mi hanno sempre sostenuto in tutto quello che facevo, compresa la mia famiglia. Sicuramente il contesto provinciale di Lecco non è stato semplice, ma la verità è che non mi è mai importato troppo di ciò che potessero pensare gli altri. Anzi, mi divertiva persino provocarli. Penso sia fondamentale non lasciarsi definire dal contesto in cui si cresce: la forza vera va trovata dentro di noi. Il resto conta poco.

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Photography by © Clotilde Clodoveo Petrosino all rights reserved

"Il drag è uno spazio dove dare voce alla mia femminilità interiore"

Che tipo di rapporto c’è, per te, tra l'arte drag e l’identità di genere?

Nel mio caso, c’è sempre stato un rapporto intimo e speciale tra queste due dimensioni. Olimpia è stata per me un mezzo importante per comprendere meglio come mi sentissi rispetto alla mia identità di genere. Non è stato un processo facile, ma il drag mi ha preso per mano e mi ha accompagnata in un viaggio dentro me stessa. Ancora oggi è una grande passione, ma negli anni è stato anche un’ancora, uno spazio dove dare voce alla mia femminilità interiore, forma a quella donna che voleva esistere e guardare il mondo con i suoi occhi.

Che significato ha per te “queerness” nel contesto della drag performance?

Il drag tira fuori la parte più autentica e profonda di te. Ti regala emozioni e momenti che sarebbe difficile vivere altrove.
Oggi il drag è in continua evoluzione, ma non bisogna dimenticare che è un atto politico, una potente affermazione di sé.
Ciò che lo rende speciale, però, è la condivisione con la community: le risate, gli abbracci alle serate, il tempo passato a preparare i look, i momenti in cui ci si riconosce. È lì che brilla la vera queerness del drag. È molto più di un'arte: è un lifestyle.

Quali sono state le tue ispirazioni per sviluppare l'identità visiva di Olimpia? Se Olimpia avesse un moodboard, cosa ci troveremmo dentro?

Io sono sempre stata una grande fanatica della moda, ossessionata oserei dire. Nel mio immaginario però non ci sono mai state figure troppo contraddittorie: ho sempre voluto rifarmi a un’estetica elitaria, glamour, follemente chic. Una vera IT GIRL che porta problemi ovunque vada. Bianca Balti è sicuramente una buona reference per capire il personaggio ma ti potrei citare anche Ragazze Interrotte, Tom Ford per Gucci, ed Emily Charton.

Quanto l’essere drag performer ha influenzato la tua visione della moda e il tuo lavoro come fashion assistant e stylist?


Moltissimo. Oggi, prima di uno shooting, provo spesso i look su me stessa per capire come si muovono, come scattarli al meglio.
E ti dirò: in certi aspetti il drag mi ha insegnato più di quanto abbia fatto il mio percorso universitario di styling e comunicazione.
Perché la moda non è solo teoria: è esperienza, momenti vissuti, mettersi in gioco, conoscere persone. In questo, moda e drag vanno nella stessa direzione.

C’è qualcosa che il mondo della moda potrebbe imparare dal drag – e viceversa?

Quando ho iniziato a muovere i primi passi nella moda, ho capito che spesso non ero circondata da persone altrettanto queer o realmente interessate a rompere le regole, dire qualcosa di nuovo, fare rumore.
La moda oggi deve riappropriarsi del suo potere comunicativo e chi ci lavora deve spingersi oltre, mettersi in discussione, lasciarsi ispirare da questa rivoluzione.
E no, non credo che il drag abbia nulla da imparare dalla moda. Per essere una brava drag non devi per forza essere una fashionista.
Il drag ha ispirato la moda più volte, e continuerà a farlo.

Progetto di Clotilde Clodoveo Petrosino
Intervista di Enea Venegoni
Talent: Olimpia Balti

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