Cosa vuol dire essere una donna lesbica e avere una start-up che si occupa di sex-toys? Ne abbiamo parlato con Letizia Abis che ci racconta del suo lavoro, dei suoi sogni e di cosa succede nella femTech
Parlaci un po’ di te:
Mi chiamo Letizia, ho trent’anni, insegno all’università di Berlino, dove vivo. E ho creato insieme a Ilaria Fazio, una nuova linea di lingerie sex toys per persone queer, Ma Joie.
Come donna lesbica cosa ne pensi delle l’invisibilizzazione che c’è all’interno della comunità LGBTQIA+?
Come donna lesbica devo dire che, come in ogni ambito, c’è sempre invisibilizzazione, le donne sono sempre le più penalizzate.
Ad esempio, ho vissuto a Parigi, sono stata a Londra, adesso vivo a Berlino e le possibilità infinite che esistono per gli uomini gay, anche solo per divertirsi e andare in locali esclusivamente per uomini, sono infinite, mentre invece quando si vuole uscire solo per locali per donne, la scelta si riduce.
A Parigi, ce ne sono solo due, a Londra forse ce ne sono 2, 1, e lo stesso succede a Berlino. Ci sono pochissimi bar per donne, persone bisessuali ecc.., e moltissimi, invece, per gli uomini.
Per me l’invisibilizzazione passa anche da questo, dalle minori possibilità anche semplicemente di divertirsi, di potersi esprimere, di poter trovare un luogo di incontro.
Una delle ragioni per le quali c’è invisibilità per le persone lesbiche é anche il fatto che spesso si vede il tutto come una fase o una volontà di sperimentare? Cosa ne pensi? Ne hai mai sentiti di discorsi di questo tipo?
Si si certo, mi è successo, per quasi 10 anni della mia vita. Sono molto etero passing.
Alcuni amici, quando ho fatto coming out, mi hanno detto: “io ti vedo che ti sposerai con un uomo”. Ma, per me è la cosa peggiore che mi si potesse augurare (ndr ride).
Ormai questa cosa, i miei amici, non me la dicono più. Abbiamo fatto tutti un percorso di crescita insieme, io, le persone che mi sono state vicine, e i miei amici.
Purtroppo, però, troppo spesso si pensa che sia una fase, e che, alla fine, l’obiettivo sia proprio quello di arrivare a una relazione etero…
L’invisibilizzazione e la marginalizzazione delle donne lesbiche, è anche legata all’aspetto economico.
Tutt'oggi si continua a non puntare sulla femTech, e si deve fare un grandissimo sforzo con gli investitori perché puntino su applicazioni per prodotti femminili.
Manca la ricerca, su tutto ciò che possa migliorare la vita di persone che hanno il ciclo mestruale, ad esempio.
Penso fermamente che, se fossero gli uomini cis ad avere le mestruazioni, non ci sarebbero più dolori mestruali, non si parlerebbe più di “pad” e avremmo trovato 1000 modi possibili per rendere le mestruazioni un non-problema .
Io stessa, che ho parlato con molti investitori, che ho fatto parte di incubatori, ho visto le realtà delle start-up della femTech e ho notato che è quasi come se ci dessero una carezza, una pacca sulla spalla, quando presentiamo i nostri progetti. Ci sentiamo dire: “che dolce, stai facendo una cosa per le donne, che carina”
Oppure, “ma alla fine non è che ci sia tanto mercato, No?”
( Soltanto il 50% della popolazione). Oppure ancora: “ Ma lo strap-on è di nicchia”
Parlo di questo, perché lavoro nel campo. E conosco questo mondo. E posso affermare che lo strap-on non è affatto un prodotto di nicchia.
Non siamo una nicchia, siamo persone che vogliono spendere i propri soldi acquistando cose fatte e pensate per noi.
E’ necessario che ci sia ricerca, per poter realizzare prodotti che possano andare bene per tutte le persone che si ritrovano ad affrontare diverse problematiche rispetto alle mestruazioni,
all'utilizzo di sex-toys, o riguardo ad altri disagi legati all'identità di genere o all’espressione di genere.
Credo che il fatto che gli investitori siano per la maggior parte uomini, complichi ulteriormente le cose.
Nel campo della femTech, devi fare 10 volte la fatica che farebbe una persona con espressione di genere maschile. Se ti identifichi come donna, ti chiedono sempre: “Ma qual è il tuo trauma? Qual è il motivo che ti ha portato ad avere questo tipo di coinvolgimento in questo progetto?”
Ad una persona che si identifica come uomo, non fanno questo genere di domande. Perché è sottinteso che non ne abbia il bisogno. Semplicemente, chi si identifica come uomo può sentirsi ispirato o può aver voglia di fare soldi. Invece, per una donna, non è abbastanza, cioè le donne non vogliono fare soldi (ndr ironizza).
Vogliono sapere qual è la lotta che stai portando avanti, che la maggior parte delle volte è anche vero. C'è una lotta dietro, assolutamente.
Però finché gli investors saranno perlopiù maschi, cis bianchi, etero… non ci sarà attenzione, non ci sarà un cambio di prospettiva. O anche solo la pazienza di sedersi e cercare di capire. Manca l’apertura a determinati soggetti e a determinati argomenti.
La società eteronormata ci detta comunque delle regole, rispetto ai ruoli sociali o all’interno della coppia o rispetto alla nostra espressione di genere, secondo te per uniformarci anche inconsciamente a questi standard, ci auto-stereotipizziamo?
Assolutamente sì. Ho visto persone lesbiche, bisessuali, della community LGBTQIA+, avere difficoltà a fare coming out, ad accettarsi. Proprio a causa dell’interiorizzazione di pregiudizi su loro stessə. Nel momento in cui pensi cose brutte su di te e su quello che sei, hai molta difficoltà ad accettare non solo te stessə, ma anche gli altri.
Sono una grande sostenitrice del fatto che alcune persone omofobe sono persone che non accettano se stesse come facenti parte della comunità LGBTQIA+. Con questo non voglio giustificare nessun comportamento omobilesbotransfobico. Penso, però, che la violenza sia sempre un’espressione di sofferenza e in questo caso può essere un modo di esprimere il non accettare se stessə. Ad esempio, ho avuto mie amiche lesbiche, che per tanti anni non sono riuscite ad accettare se stesse. Nel momento in cui sono riuscite a decostruire l'eteronormatività interiorizzata, è stato molto più facile per loro accettarsi.
Anche io, mi sono resa conto di aver fatto un percorso di decostruzione molto importante. Su ciò che pensavo di me, degli altri o rispetto a ciò che gli altri potevano pensare di me.
Avevo paura, all’inizio, ad identificarmi come lesbica, trovavo più semplice dire che mi interessavano anche gli uomini. In realtà, non è assolutamente vero. Ma sentivo che sarei stata accettata più facilmente. Così, mi sono chiesta: “Ma di cosa ho paura veramente?” Il giudizio di cui avevo più paura, in realtà, era il mio. Perché, alla fine, gli altri, conoscendomi, ascoltandomi, riuscivano comunque a mettere da parte il giudizio.
E’ stato più difficile decostruire ciò che pensavo io, rispetto a ciò che pensavano gli altri
La ricerca del piacere è un percorso personale, individuale, ma anche di coppia. Quali sono i pregiudizi nei confronti dell'intimità saffica?
Tantissimi! Per esempio: tra persone lesbiche non si fa sesso, solo carezze e bacini. (ndr ironizza)
Oppure, un altro pregiudizio è che si pensa ci sia questo romanticismo sfrenato nelle coppie saffiche.
Il sesso è molto slegato dal romanticismo, non è per forza che se due donne o due persone che si identificano come tali, vanno a letto insieme, allora vuol dire che c’è per forza del romanticismo.
Questo stereotipo, deriva anche da una rappresentazione delle coppie saffiche che è sempre stata molto legata ad un romanticismo estremo.
L'unica rappresentazione che ho visto un po 'diversa, è stata quella di “The L World”. Che ha spaziato un po’.
Ma diciamo che, ancora oggi, le coppie saffiche vengono viste come coppie di amiche, sorelle. Quante volte a me e la mia compagna, hanno detto: “Ah, ma siete sorelle?”
No che non lo siamo! “Eh ma vivete insieme”, si ma abbiamo due cognomi diversi sul campanello.
L'immaginazione supera sempre i limiti di quello che poi è la realtà!
Perché deve essere così difficile immaginare che se due persone vivono insieme, hanno una sola camera da letto, non sono sorelle?
Se si avesse di fronte un uomo e una donna etero, che convivono, la cosa che verrebbe in mente più facielmente è che sono una coppia.
Allora, perché non possiamo pensare lo stesso, se si tratta di due donne?
Oppure si pensa che tutte le persone Lesbiche siano affette dall'invidia del pene.
Quando facevo all'inizio, coming out, mi è anche stato detto: ah ma quindi tu ti senti un uomo?
Tutta questa serie di pregiudizi come si ripercuote sui sex-toys e com’è nata, dopo la tua ricerca, l’idea di progettare dei sex-toys e degli strap-on?
Non riuscivo a trovare qualcosa che mi facesse sentire bene con il mio corpo e che non mi facesse male, o che mi facesse anche sentire attraente. Nel momento in cui indossavo gli strap-on tradizionali, non mi sentivo a mio agio, mi sentivo non rappresentata.
Quindi mi sono chiesta il perché.
Al tempo stavo con l'altra fondatrice di Ma-joie, e ci siamo rese conto, che nel mercato degli strap-on qualcosa non funziona.
Sembrano fatti per accontentare un male gaze, e dietro non c'è una vera ricerca di cosa possa piacere, veramente, a chi li indossa.
Soprattutto se si pensa, che una gran percentuale delle persone che li indossano ha la vulva.
E’ necessaria una ricerca, serve fare dei test di nuovi prodotti, così che possano adattarsi a tutti i corpi.
Ho trovato tutto molto standardizzato. Ho provato anche gli strap-on doppi, ad esempio, e ho constatato che escludono molte persone. Ad esempio persone con la vulvodinia, che dovrebbero poter avere la possibilità di scegliere una stimolazione anche non penetrativa, clitoridea.
Ho fatto una ricerca e il 90% delle compagnie che producono strap-on è gestita da uomini.
Penso che sia necessario un cambiamento, serve un occhio diverso.
Ricordo di essere andata al Queer Christmas Market di Berlino. E ho trovato solo stand fatti per uomini gay cis. C'era un solo stand di persone lesbiche/bisessuali/pansessuali, uno solo, tutti gli altri targhettizzavano una parte soltanto della comunità LGBTQIA+.
Sono rimasta molto, molto delusa. Ero andata lì per ricerca e avevo anche pagato un biglietto di entrata. Pensavo di avere la possibilità di capire cosa accadeva nel mondo dei sex-toys nella scena queer. Invece ho trovato solo progetti di uomini, per uomini.
C’erano pochissime persone trans. Scarsissima rappresentazione delle persone trans, e delle donne. E sto parlando di Berlino.
Perché c'è bisogno di un nuovo punto di vista?
Io non dico che il nostro punto di vista sia inclusivo al 100%, credo ci sia tutto un lavoro che noi dobbiamo fare ancora per capire meglio quali siano i desideri di un ragazzo trans, per esempio. Non l’abbiamo ancora fatto, perché vogliamo essere il più oneste possibile.
E riteniamo giusto fare una ricerca di mercato affinché sia una persona trans a dirci cosa va bene e cosa no.
Facendo ricerca e sviluppo mirata, su questi prodotti e su tutti i corpi e le sensibilità.
In generale, secondo te dietro la progettazione dei sex-toys si nascondono ancora stereotipi e pregiudizi?
Penso che nulla sia progettato senza che dietro ci sia uno stereotipo.
Quello che si può fare è cercare di trasformarlo, anche attraverso una comunicazione adatta.
Ci sono stati dei cambiamenti, nella progettazione e nella comunicazione dei sex toys. C’è una visione più fresca, si fa attenzione anche all’estetica e al design, ci sono prodotti molto più pop.
Tutto questo, però, non è stato fatto con gli strap-on, anche dai più grandi brand. E’ un toy messo sempre un po’ da parte, perché ci sono dietro molti stereotipi, molti pregiudizi.
Viene legato tantissimo al mondo della pornografia, al BDSM, viene visto come uno strumento punitivo. Invece non c’è niente di punitivo nell’usarlo, nell’intimità.
Proprio per uscire dallo stereotipo, abbiamo pensato di renderlo pop, anche dal punto di vista estetico, rendendolo colorato, fresco, vivace.
Sembra banale, ma sono gli stessi tipi di de-costruzione, attuati per i sex-toys, ci sembrava giusto fare lo stesso per gli strap-on. Perché escluderli!
Secondo te ci sono ancora pregiudizi nella nostra società rispetto a persone con espressione di genere femminile, che cercano attivamente il piacere?
Assolutamente si.
Chi ha un’espressione di genere femminile vive ancora il tabù della passività. Se sei attiva sei automaticamente una persona che desidera identificarsi in un altro genere.
Lo trovo estremamente limitante. Ciò che ci piace nell’atto sessuale, nell’intimità, non definisce la nostra identità di genere, dovremmo liberarci di tutti questi pregiudizi. Dovremmo sentirci liberə.
Tra l’altro, per me, le parole “attivo e passivo” sono poco indicative. Chi ha deciso che un ruolo è attivo e che l’altro è passivo? Anche sui termini possiamo evolverci per poter rompere questa categorizzazione e per poter uscire dagli stereotipi.
Progetto e intervista di Clotilde Petrosino
Traduzione di Enea Venegoni
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