Quest'intervista è stata realizzata a Maggio del 2024 e sarà disponibile in versione integrale sul libro "The Queer Talks" di futura pubblicazione
Malab Alneel ©Clotilde Petrosino All rights reserved
Malab Alneel è unə attivistə queer e visual artist sudanese. Al momento, il suo lavoro si concentra sull'archiviazione e la valorizzazione della storia e dell'esperienza queer nel SWANA - in connessione con il linguaggio - come parte del suo progetto di vita "sahq alzafaran: archiviazione della storia lesbica* nel SWANA". Nell'ambito dell'attivismo e della mobilitazione, Malab lavora su temi simili, come parte del collettivo sudanese di advocacy per i diritti queer Shades of Ebony nella produzione di conoscenza relativa al linguaggio queer locale
Ciao come stai? Raccontaci un po’ di te
Hey, in realtà mi sento molto sopraffattə, sta succedendo molto nel mondo. Mentre rispondo a questa domanda, mi rendo conto che è appena passato un anno da quando è iniziata la guerra in Sudan e ho perso ogni senso di sicurezza. Forse, la risposta alla prossima domanda sembra essere una brusca transizione, ma ho imparato ad accettarne le sfumature, tutto è in qualche modo connesso, non è vero?
Sono unə attivistə queer sudanese e unə visual artist. Sono un acquario, una persona autistica con ADHD e disturbo bipolare. In sintesi non si può mai sapere cosa succederà in futuro e, nella maggior parte dei casi non lo so nemmeno io. Lo scopriamo insieme.
Quali pronomi usi?
Uso sia i pronomi neutri they/them che il femminile she/her in base alle persone con cui interagisco.
Questo perché vedo il genere, le espressioni di genere e i pronomi come uno strumento che implica che il genere non esista davvero nella mia testa. Nella mia testa sono solo una persona, ma capisco che vivo la mia vita attraverso l'esperienza di una donna nera, ma il "they" crea in qualche modo un ponte tra la mia esperienza nella società e come mi vedo internamente.
Ci puoi spiegare di cosa ti occupi nella tua produzione artistica e come essa si relazioni con le tematiche legate alla comunità LGBTQIA+?
La mia pratica è principalmente concept/research based, non ho un medium stabilito né competenze migliori in uno rispetto all'altro, anche se sono tutti visivi: fotografia, film, illustrazione e una combinazione dei precedenti. Tutto inizia con un'idea e la seguo nel modo in cui desidera manifestarsi.
Il concetto principale nel mio lavoro è la queerness e come si relaziona al linguaggio e alla cultura. Il mio progetto a lungo termine si chiama "sahq Alza'faran", un archivio e una documentazione della storia Lesbica (lesbica con la “L” minuscola) nella regione dello SWANA (Asia sud-occidentale e Nordafrica). Si tratta di un progetto con molte voci e a lunga durata, con ogni sezione del progetto che include voci diverse di persone che fanno parte della comunità di cui stiamo parlando: dalle persone lesbiche trans o cis alle bi femmes, agli uomini trans e agli uomini trans masc e tuttə coloro che storicamente hanno fatto parte delle comunità lesbiche.
Quando ti sei trasferitə a Milano e qual è stata la tua prima impressione della città e della comunità queer milanese?
Sono arrivatə qui alla fine del 2017 per l'università. La mia prima impressione purtroppo è rimasta la stessa; tranne per qualche nicchia che sono così gratə di aver trovato e alla cui creazione ho partecipato, la scena "queer" di Milano è più gay che queer. Con ciò intendo dire che è molto depoliticizzata, con una cultura di "sassy gay men" molto predominante che per me si traduce semplicemente in misoginia con un po' di glitter. Inoltre, ho notato che questa cosa sembra invisibile sia agli uomini gay cis che a coloro che li circondano semplicemente perché sono gay, e quindi quella manifestazione di misoginia risulta essere poco evidente.
Mi piaceva la scena "queer" lontano dalla componente gay arcobaleno-commerciale di cui ho appena parlato, ad esempio quando vado ai Centri Sociali e tra le persone queer socialmente schieratə e radicalə; ma anche rispetto a questa ho alcune critiche. Principalmente mi riferisco all'apparenza di anti-establishment senza un'applicazione o almeno una comprensione di come ciò debba essere attuato nelle relazioni quotidiane quando non include il rovesciamento dell'1%. Per dirla in modo semplice, hai solo intenzione di tatuarti ACAB da qualche parte o hai un piano qualora sia necessario supportare i membri della comunità che rimangono senza casa. E ancora, hai qualche idea su come superare o minimizzare la necessità di contribuire in modo intra-comunitario a questo sistema che disprezzi, oppure stiamo tuttə solo imparando a costruire molotov per quel magico giorno in cui la classe lavoratrice sarà in rivolta?
Credi che sia safe essere una persona nera e queer all’interno della scena LGBQTIA+ milanese? E in Europa?
Assolutamente no, ci sono quellə che celebrano la "liberazione queer" senza capire come sia avvenuta o che non ci siamo ancora arrivatə. Raramente si concentrano sul lavoro intersezionale, e quando lo fanno guardano altrove per vedere com'è essere queer altrove, ma non segue quasi mai una successiva critica su come questo sia un residuo coloniale. Principalmente, tutto ciò si riduce ad una serie di atteggiamenti compassionevoli o di video divertenti da postare su come "la loro esistenza sia illegale in 72 paesi", senza rendersi conto di come questo non sia uno scherzo ma una realtà per moltə di noi. Inoltre, non mostrano alcuna attenzione a come la situazione socio-politica di quei paesi abbia un impatto diretto sulla qualità di vita delle persone queer. Sperimento anche molta misoginia e razzismo qui, dalle persone che mi toccano i capelli, al "com'è essere gay lì?", "probabilmente è così liberatorio essere qui e vestirsi come vuoi ed esprimerti ad alta voce, vero?" e, la più fastidiosa di tutte, "come la prendono i tuoi genitori, lo sanno?" subito dopo un ciao.
Credi sia sicuro vivere in Italia come persona nera e queer?
Non credo sia sicuro vivere in Italia. E’ grave se sei queer, ma ancora peggio se sei nerə. Esco di casa ogni giorno e vedo camion militari che girano solo per rendere visibile la loro presenza. Anche se non possono fare niente, il loro scopo è intimidirci. Indosso un keffiyeh in metro e ricevo sguardi di disgusto (con il merito dei molti sorrisi e pollici in su che ricevo), esco dalla metro e vedo carabinieri che tengono le loro mitragliatrici come in una gara di misurazione dei p*ni. Con un governo fascista che dà più spazio alla diffusione del bigottismo, non credo che sia sicuro, tantomeno se fai parte di una qualsiasi comunità marginalizzata.
Che cosa ti ha spinto a diventare unə attivstə? In che modo la tua arte si relaziona al tuo attivismo?
Sono cresciutə in una famiglia molto impegnata politicamente, discutere di politica faceva costantemente parte delle conversazioni a pranzo. Ma in generale, la politica è un costante tema di discussione che si tiene nelle strade sudanesi: tutto nella vita quotidiana è direttamente collegato a ciò che sta accadendo politicamente, quindi anche visitare casa ogni anno ha rafforzato questo concetto.
La mia prima comprensione diretta della resistenza - anche se me ne hanno parlato per tutta la vita - è avvenuta in sesta o settima elementare quando hanno annullato una giornata sportiva a scuola, e abbiamo deciso che dopo un'assemblea avremmo fatto un sit-in e non saremmo andatə a lezione fino a quando non avessero deciso di ripristinarla, e così è stato. Ero sbalorditə! Tutto ciò a cui riuscivo a pensare era "dovremmo fare questo su una scala più grande, qualora non ci piacesse qualcosa nel governo tutto il paese dovrebbe farlo!" Pensavo di aver scoperto tutto ciò di cui avremmo avuto bisogno per cambiare il mondo, quel giorno.
E poi c'è l'ovvio, essere sudanese, natə e cresciutə in Oman dove, a causa dell'instabilità politica del paese, ho visto governi occidentali e corrotti causare tragedie intorno a me. Poi la speranza nata dalla Primavera Araba e dalla rivoluzione sudanese del 2018. La rivoluzione è stata un grande impulso per collegare il mio lavoro al mio attivismo, creando illustrazioni per mantenere la rivoluzione digitalmente visibile e per partecipare mentre la osservavo da lontano e non potevo scendere in strada.
Trattare di tematiche queer nel mio lavoro è avvenuto in seguito dopo essermi unitə a un collettivo di attivismo queer sudanese nello stesso periodo. E ora eccoci qui, dove tutto ciò che faccio è artivismo. In base a quello che sto facendo, un aspetto o tematica prevalgono di più rispetto ad altre.
Domanda potenzialmente triggerante: rispetto all'attivismo e al discorso attualmente in corso sulla Palestina, noti qualche differenza nell'attenzione occidentale alla guerra in corso in Sudan tra le SAF e le RSF? In generale, hai qualche commento su come lo sguardo occidentale-bianco guarda a diversi argomenti, e in che misura si concentra su conflitti, crisi e nazioni diverse?
C'è stato un cambiamento evidente nel modo in cui l'occidente (il pubblico, non i governi) guarda all'occupazione della Palestina, che comprende gran parte di ciò che è sbagliato nel sistema attuale, il che è bello da vedere, finalmente le persone in occidente si stanno aggiornando ai fatti e alle lotte nelle quali siamo natə e di cui siamo sempre statə a conoscenza. Ma d'altra parte, non posso fare a meno di provare un certo risentimento, il mondo non si preoccupa del genocidio delle persone nere, né il pubblico occidentale capisce quanto siano interconnessi questi problemi. Non si può combattere uno senza l'altro! Gli attori sono gli stessi con diverse localizzazioni per massimizzare il profitto. Questa non è una guerra civile, tutte queste sono guerre per procura, quelli che muoiono non hanno niente a che fare con essa se non il fatto di trovarsi in terre profittevoli per coloro che muovono i pezzi. Le SAF (Forze Armate Sudanesi) e le RSF (Forze di Supporto Rapido) sono solo combattenti pagati dagli Emirati Arabi Uniti, dagli Stati Uniti, dall'Arabia Saudita, dall'occupazione sionista e da molti altri. Eppure, le persone non sanno nulla del Sudan, forse hanno sentito qualcosa quando è iniziata la guerra il 15 aprile 2023, ma una volta svanita dalle notizie è svanita dalla coscienza occidentale, la rappresentazione più grande che otteniamo è nelle proteste per la Palestina come una nota a piè di pagina in cui vengono menzionati il Sudan, il Congo, il Tigray (Etiopia) e altri senza alcun contesto tranne il vago "pensate anche a loro".
Le atrocità che abbiamo visto commesse dall'occupazione sionista hanno fatto capire alle persone il livello di oppressione, ma quando vediamo immagini simili di corpi neri per le strade, nessuno batte ciglio, il pubblico occidentale è insensibile alla morte delle persone nere.
Straziante è l'unico modo in cui posso descrivere cosa si prova nel cercare di raccogliere, riassumere e semplificare le informazioni o anche solo condividere nuovamente contenuti sul Sudan e ricevere un silenzio violento come risposta. La mia solidarietà con la liberazione palestinese non potrebbe mai vacillare, ma quando vado alle proteste mi guarderò intorno e mi chiederò se qualcuna di queste persone si presenterebbe per il Sudan.
Malab Alneel ©Clotilde Petrosino All rights reserved
"L'omofobia e la discriminazione nei confronti delle persone queer in generale sono un prodotto del colonialismo"
Ti va di parlarci un po’ della storia del movimento queer nella regione SWANA? Che tipi di discussioni avvengono sull’argomento? La visione generale dell'occidente è che sia una regione indietro quando si tratta di diritti queer, pensi che ciò sia completamente corretto? E se sì, quali sono le ragioni socio-culturali?
Ho solo una cosa da dire a riguardo, non è una risposta completa alla domanda ma è tutto quello che ho voglia di condividere con un pubblico "occidentale". L'omofobia e la discriminazione nei confronti delle persone queer in generale sono un prodotto del colonialismo, non posso dire con certezza che le cose fossero tutte "gay e rose" prima di quello, ma posso assicurare che non era nulla di simile a oggi. Dopo che le potenze coloniali se ne sono andate dalla regione, le persone indigene di quelle terre hanno cambiato la loro posizione su alcune cose, come reazione per distanziarsi da quelle stesse potenze che le avevano oppresse.
In che modo il tuo lavoro artistico si relaziona con la queer SWANA community? Ti va di farci qualche esempio?
Nel caso specifico di "sahq alza'faran", si tratta di un coinvolgimento diretto; trovo artistə lesbiche* con cui collaborare, in ogni parte del progetto. Anche se sarò io a rendere pubblico il risultato finale del progetto, molte voci hanno comunque dato il loro contrubuto al progetto stesso.
La seconda parte al progetto si è concentrata sulla documentazione dell'esperienza lesbica della diaspora SWANA. Il nucleo della ricerca si è svolto in incontri, invitando membri della comunità per tè, snack, una canna e una chiacchierata; questo metodo di ricerca non ha lo scopo di raccolta dati dall'esterno, ma rappresenta un'opportunità per dare continuità ad un legame che promuove la costruzione di questa comunità. La ricerca è specchio degli spazi in questione e, spero anche dell'appropriazione personale e comunitaria di tali spazi.
Malab Alneel ©Clotilde Petrosino All rights reserved
Da artistə e attivistə nerə e queer, in che modo ti relazioni al mondo dell’arte in Europa, un mondo che storicamente è dominato da figure maschili e bianche? Quali sono i tuoi punti di critica a riguardo? Cosa pensi dovrebbe cambiare?
La risposta breve è che non ci penso. Non riesco ad immaginare il mio lavoro nei musei o nelle gallerie con pareti bianche, il mio lavoro è disordinato e non è destinato a essere tradotto per un pubblico generale, voglio raggiungere persone specifiche, tuttə lə altrə sono benvenutə , ma se non lo capiscono, significa solo che non è per loro.
Finora ho fatto una mostra in Italia, nella stazione di Lancetti con spazioSERRA, perché vivevo in quel quartiere, un quartiere a maggioranza immigrata e a maggioranza di lingua araba, dove non ho dovuto tradurre.
La mia seconda mostra ha avuto luogo a Tunisi, in Tunisia, dove ancora una volta non c'era bisogno di tradurre nulla e il lavoro era pensato per essere interattivo, inclusa una mia biblioteca personale che credo trasmettesse il senso degli interessi della diaspora queer, dalla queerness alle arti, alla politica e a vari altri argomenti.
È difficile immaginare dove possa mostrare il mio lavoro. C'erano alcuni spazi focalizzati e creati da persone che considererei parte della mia comunità, ma dopo il 7 ottobre 2023 sono stati tutti chiusi o hanno perso i finanziamenti, quando i governi hanno mostrato il loro sostegno al progetto colonialista imperialista sionista.
Non credo nella riabilitazione dei musei in Europa, sono per me spazi coloniali e lo saranno sempre. Sono spazi in cui vengono mostrati i trofei ottenuti dopo aver commesso numerosi massacri nel mondo.
Non voglio che il mio lavoro sia associato a questo, né voglio che il mio lavoro sia messo a distanza dallo spettatore, deve essere vissuto e interagito, è una rappresentazione di una società, non un bel oggetto da ammirare. Ovviamente, questo si collega direttamente al fatto che devo continuamente vedermela con il problema dei fondi e delle opportunità, ma preferisco non avere fondi che venire meno ai miei valori.
Ma tornando alla domanda, ho critiche? Sì, molte. Ma mi interessa tirarle fuori per discuterne? Non proprio. Questo mondo dell'arte di cui state parlando e il mondo dell'arte in cui io esisto non sono collegati tra loro. Hanno nomi simili ma sono lontani l'uno dall'altro, per come la vedo io.
Progetto, Foto ed editing Clotilde Petrosino Intervista di Enea Venegoni
Traduzione in Italiano di Bartolomeo Goffo